Victoria Diaz Saravia

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
filo e tessuto, cm 20x20

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo
filo e tessuto, cm 12x12

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo
filo e tessuto, cm 12x12

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo
filo e tessuto, cm 12x12

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo
filo e tessuto, cm 20x20

Christmas Showcase
Victoria Diaz Saravia

Christmas Showcase
Victoria Diaz Saravia

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
filo e tessuto, cm 6x23

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
filo e tessuto, cm 20x20

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
Mobil

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
Mobil

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
Oggetti in filo e tessuto

Victoria Diaz Saravia
ogg

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
filo e tessuto, cm 15x15

Victoria Diaz Saravia
Senza titolo / 2021
filo e tessuto, cm 30x30

 

Sono nata e cresciuta a Tucumán, una città soleggiata al nord dell’Argentina. Nel 1998, a 23 anni, mi sono trasferita in Svizzera, dove ho studiato, viaggiato, fatto nuove amicizie, trovato l’amore, formato una famiglia e incontrato persone importanti per la mia formazione e per la mia crescita. Nel 2004 mi sono laureata all’Accademia di architettura dell’USI e nel 2016 mi sono specializzata in design per bambini al Politecnico di Milano.

Mi piace progettare e realizzare nuove idee. Per me è come fare diventare realtà i sogni.
Ho lavorato a progetti di architettura e design. Ho realizzato giochi, mobili, vestiti, mostre, e installazioni dedicati all’infanzia. Ho insegnato progettazione architettonica all’Accademia di architettura collaborando come assistente di diversi professori e ho tenuto corsi di educazione architettonica, arte e design per bambini.

Nel 2008 sono stata premiata dall’Ufficio federale della cultura con lo Swiss art Award per il progetto “Casa para tres”, costruito a Tucumán.
Mi emoziona la capacità creativa dell’essere umano in tutte le sue forme. Sono cresciuta avvolta nell’amore di donne che con le loro mani costruivano il mondo che ci circondava. Ho imparato da piccola, osservandole, l’alchimia di tramutare i sentimenti in bellezza.

Quando progetto e soprattutto quando uso le mani per creare, sento che
la mia anima balla sotto il sole filtrato da una vite nel cortile della mia casa d’infanzia.

Nakama: Victoria Diaz Saravia e Aoi Huber Kono

a quattro mani

 

La leggerezza come programma poetico è la prima delle sei proposte per il prossimo millennio riportate dal Massachusetts da Italo Calvino e da sua moglie. La lettura del libro, Lezioni americane, ha catturato il pensiero
e l’immaginazione di numerose penne, matite, tastiere. Diceva Calvino
in un aforisma affascinante: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso. In architettura questo programma di sotto trazione interroga il principio elementare dalla firmitas vitruviana.

Victoria cerca di fare a meno della gravità, della pesantezza, della necessità di costruire le fondamenta dell’edificio per ambire alla reinven­ zione della propria vita in chiave nostalgica e critica. Mi scrive Victoria: «Cucire è una delle cose che più mi piace fare fin da bambina. [...] Sono felice con un filo, un ago e un pezzo di tessuto in mano. [Le mie costruzioni sono] precisi ricordi dei dettagli dei luoghi della mia infanzia.»

Calvino schizza un arco filologico «ampio da coprire la poesia
e la filosofia dalla Grecia insino alla fine del secondo millennio.» L’opposi­ zione tra peso e gravità nel senso fisico di Archimede che alza la gamba nella vasca da bagno, gravità nel senso morale di ponderazione del giudizio, e leg­ gerezza, concetto in oscillazione tra il sottile e il superficiale, coinvolge la pesantezza e il tempo lungo dell’architettura e della scultura. Tuttavia questa situazione complessa si presta al gioco della contraddizione. Si può sostenere che lo scultore Eduardo Chillida è capace di dinamizzare, persino di sollevare nell’aria l’intreccio di una massa di ghisa.

Oggi, l’antitesi tra toccabile & intangibile, materiale & immateriale, categorie politiche depositate dall’unesco, cercano di attivare l’industria globale del turismo. Dunque, la musica e la gastronomia, la falconeria e il kriss, pugnale di Java, fanno parte del nostro patrimonio mondiale, mentre la tauromachia che risponde alla definizione canonica dell’intangibilità del know how rimane fuori gioco. Si capisce che l’allontanamento della tauromachia risponde alla bocciatura politica del culto di Franco.

Mi chiedo perché urbi &t’orbi la falconeria è gradita come hobby sportivo e pittoresco senza significato politico.

Nella stessa logica consumista i blue jeans strappati di alta gamma costano quattro volte il prezzo di uno normale strappato in fabbrica.
Solo per scoraggiare l’operazione vernacolare del do-it-yourself, praticata con un paio di forbici? Oggi gli pneumatici di F1 sono programmati per distruggersi in uno scenario policromo di breve, media e lunga durata. Viviamo in una società di consumo dove le tecniche dello sfilacciare e del­ l’obsolescenza programmata raggiungono il museo immediato del collezio­ nismo. Sfilacciamento o sfilacciatura?

Vorrei ritrovare l’avvenimento antico del plus léger que l’air,
il più leggero dell’aria, tramite un indovinello: in cosa si possono combinare il taglio affusolato della pasta di carta e la cucitura dei frammenti longitudinali con un filo di cotone? Sì! una mongolfiera. Avete vinto un volo a scelta sopra Annonay o Versailles. Alla fine dell’Ancien Régime, le vicende dell’aerostazione catturano la curiosità delle popolazioni non solo in Francia ma in tutta l’Europa. La situazione di sospensione nell’aria mescola due

percezioni. La prima si trova nella descrizione pittorica dell’avventura, dipinta persino da Francisco de Goya in un grande quandro ad olio su tela che sembra annunciare Turner. La seconda si coglie nella testimonianza verbale. Tra i molti concorrenti dei Frères Mongolfier si trova il fisico Jacques Charles, capace di gonfiare la sua cupola con idrogeno e capace anche di descrivere il suo volo del dicembre 1783. Dopo un primo atterraggio Charles si rialza nella sua machine per osservare un secondo tramonto. Questo momento storico sembra segnare la fine dell’Illuminismo: davanti alla prova che l’aeronave non è dirigibile.

Questa digressione fuori luogo ci rimanda alla configurazione plastica a quattro mani di Aoi e Victoria. Penetriamo in un momento più recente della modernità, quando la tecnica e la metafora del Textil si profi­
lano nella teoria dell’architettura. Per Gottfried Semper la questione materiale delle origini dell’arte e della società si trova nell’invenzione del tessuto. Tale ipotesi è affascinante. Respinta la magia rimane la maglia. Fragilità e solidità convivono nella tessitura. Il tessile combina le reti.

Sono incapace di figurarmi cosa succederà nell’atmosfera luminosa della Galleria Doppia V. Vedremo come le affinità elettive di Aoi Huber Kono e Victoria Diaz Saravia possono cucire un programma di sorprese. Non si sa come tradurre la parola nakama, scelta come manifesto della mostra.

Magari come connivenza. Mi aspetto di cogliere profumi erotici e sublimi tra vello oscuro e volo degli angeli.

Jacques Gubler